E poi è successo che un giorno, un giorno mi sono svegliata e finalmente ho capito.
Avete presente quella sensazione improvvisa e meravigliosa di quando le cose tutto ad un tratto diventano chiare? Un po’ come il primo giorno con gli occhiali nuovi, un po’ come quando la nebbia si alza e si ritorna a vedere lontano. Ma poi quella sensazione di distacco chiarificatore, quando si guardano le cose dal di fuori, quando la lontananza rende lucidi e consente di capire, di cogliere i nessi che prima sfuggivano. Un po’ come risvegliarsi da un sogno. O come la fine di un amore.
E poi è successo che venerdì sera ho pianto per l’ultima volta su Vedi cara, al concerto di Guccini. Lo prendo come un congedo, come la linea di demarcazione di questo strano spartiacque novembrino.
E’ successo che un giorno mi sono svegliata e finalmente ho capito dov’è che ho sbagliato per tantissimo tempo, ma un sacco di tempo davvero, e anche se voi me lo dicevate io mica lo capivo, per forza, ci vivevo dentro.
Che c’è un tempo per avere sedici anni, diciotto, venti, e solo dopo c’è un tempo in cui puoi averne venticinque e poi trenta e via di seguito.
Che se uno a vent’anni si lascia scappare il tempo della rabbia e della primavera, poi quando ne ha trenta è già tanto se gli rimane l’ora di libertà, per riscattarsi da se stesso.
Mi sono svegliata e ho scoperto, passato l’incubo di quegli anni del liceo che non finivano mai, la sensazione meravigliosa che si prova ad avere
vent’anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans.
Diciannove, anzi.
E va già bene così, che me ne sono accorta in tempo. Nonostante abbia buttato alle ortiche i sedici, i diciassette e i diciotto, intenta com’ero a inseguire i molti di più che mi sarebbe piaciuto avere, cercando di recitare una parte agli occhi del mondo, di farmi accettare ma per quella che non ero, forse anche per quella che non sarò mai, neppure quando quegli anni lì ce li avrò per davvero. Ora che me ne accorgo, capisco anche che avrei potuto divertirmi molto di più, e da molto più tempo. Avrei potuto ribellarmi molto di più, ridere molto di più, vivere molto di più.
Ma non importa. Quello che conta è che adesso mi diverto, vivo, rido. E mi ribello, anche, a volte, o almeno ci provo. E sogno ancora il futuro migliore e diverso che tutti aspettano, ma anche so che il futuro è fatto delle cose che raccogliamo ogni giorno lungo la strada, di quello che costruiamo, di quello che abbandoniamo e di quello che decidiamo di portarci dietro.
Da quando mi sono svegliata così, quel giorno, sento che sto come un anno fa non avrei neanche saputo immaginare.
Ecco, un anno fa.
Ripenso a me un anno fa, la mia maschera da finta trentenne seria e la disperazione per la mia storia d’amore finita male.
E lo vedo, a distanza di un anno, il nesso tra le due cose.
Lo vedo, adesso, che proprio quel voler essere a tutti i costi qualcosa che non ero era la condizione sine qua non e al tempo stesso la cartina tornasole di questa strana storia che non rinnego ma che certo ho imparato a considerare in tutt’altro modo, col senno di poi.
Lo vedo, in generale, quanto può fare comodo a un uomo una maschera di pretesa indipendenza, quanto può farlo sentire autorizzato a scansare le sue responsabilità, a farti più male.
Lo vedo che la realtà è questa, nel mio caso ma chissà, anche in altri.
Che quest’uomo si è sempre trincerato dietro al fatto che gli apparissi più grande di quella che ero. Che, messo con le spalle al muro di fronte alla realtà delle cose, l’unica reazione che ha saputo avere è stata fuggire abbandonandomi a un angolo di strada.
Che mi accettava a condizione che fingessi una situazione che non era la mia. E lo vedo il mio errore nell’accettare una cosa del genere, un errore dettato dall’insicurezza ma anche dalla lusinga illusoria di sentirmi considerata per ciò che veramente ci tenevo ad apparire.
Vedo che ho sbagliato io, ma vedo anche che non vale come scusante.
Perché poi ho sbagliato ancora di più, immediatamente dopo, a chiedermi dov’era che avessi sbagliato, a pensare di non essere stata all’altezza della situazione, a farmi ancora del male.
Ci ho messo più di un anno a capire che un uomo così, un uomo che fa del tuo modo di porti nei suoi confronti un alibi, un uomo che ti ritorce contro l’idea stessa di parità per poterti fare ciò che vuole senza sensi di colpa, un uomo che scappa alla prima difficoltà, un uomo così è un uomo che non merita neanche uno straccio di rimpianto o di tristezza o di ricerca ossessiva dei perché, che cosa mai avrò sbagliato.
Ci sono cose a cui non si può passare sopra.
Una è questa. E poi ce ne sono altre che racconterò, ma più avanti, molto più avanti.
Così, un anno dopo, questo è quanto.
E’ successo che un giorno mi sono svegliata e sono andata a riprendermi i miei vent’anni, la rabbia e la primavera.
Prima che fosse troppo tardi.