morteverita

Allora facciamo che per una volta non vi dirò quanto mi sento maledettamente vuota, apatica, insofferente.
Facciamo che almeno momentaneamente seppellisco in un angolo i miei dolori e la mia tosse, la mia stanchezza e i miei alunni e la scuola e la sensazione che mi sto vivendo addosso per inerzia.
Facciamo che stasera faccio metaforicamente a fettine la ragazza depressa e cerco di scrivere, finalmente. Ho perso le parole, eppure ce le avevo qua un attimo fa…
Ecco, facciamo che provo a dare un senso e un filo logico a quello che pensavo a sprazzi oggi, tra la fermata dell’autobus e il citofono della vittima designata di oggi. Mentre cercavo di non pensare che quello che volevo più di tutto, oggi pomeriggio, era un the con le paste, e un tavolino, e un locale caldo e asciutto e la luce giusta e la musica bella. Ma che le paste, di questi tempi, mi farebbero a pezzi la pancia per un paio di notti, prima di andarsi a spalmare direttamente sui fianchi.
Ecco, sto già divagando. E’ solo che intanto penso alla forma da dare al discorso.
Perché è un discorso che dovrebbe partire da molto lontano, da premesse di cui non posso parlare perché non le conosco a sufficienza; e però potrebbe anche partire da molto vicino, per poi retrocedere al bandolo della matassa che non è detto sia proprio tutto lì, o magari non c’è proprio per niente o magari non lo so, e magari c’è qualcuno che mi ci spiega e mi dice che cosa ne pensa.
Allora facciamolo partire da vicino. Non è un caso, poniamo, che si scelga di applicare una determinata legge in un determinato frangente storico, economico, sociale. Intanto perché, banalmente, la gente ci ha altro da pensare, con la crisi e tutto il resto. Perché se hai da guardarti nel portafoglio non ce l’hai, il tempo di girarti e vedere cosa ti succede intorno. E questa è già una considerazione.
Vorrei sapere quanti la sanno, ‘sta cosa qui dei repubblichini e dei partigiani. Che peraltro trovate spiegata benissimo qui, che io adesso non ve la sto a fare troppo lunga, devo ancora finire i compiti. Quanti hanno avuto il tempo di pensarci su, io stessa mi sono ridotta a pensare alla fermata dell’autobus.
Oppure non è un caso, così a occhio, che a portare una legge in parlamento si aspetti proprio di avere la memoria storica ai minimi termini. Aspettare il momento in cui di vecchi partigiani ce ne sono, vecchissimi, quel tanto che basta da avere davanti ancora un simulacro vivente di quegli anni, che giustifichi il fatto di tenere vivo un dibattito, per poterlo orientare verso il revisionismo. Non un anno di più, non un anno di meno. Non tra cinque anni, tra dieci anni, quando i partigiani non ci saranno più e la memoria storica sarà tutta scesa sottoterra insieme a loro. Allora non ci sarà più bisogno di parlarne. Non si dovrà più parlarne. E d’altra parte la mia generazione non ne parlerà proprio, perché non se lo ricorderà.
Prima, però, bisogna almeno fare in modo di metterci un’ultima parola, su questo dibattito che si vuole destinato ad estinguersi, un’ultima parola che lo fossilizzi per sempre. E lo fossilizzi in chiave revisionista. Lo congeli nell’apologia, prima di farne direttamente polvere da biblioteca.
Ma una generazione senza memoria storica, è un caso che ci sia, e che ci sia adesso? E lo so che è un fottuto casino, da spiegare e da capire. Perché intanto ci sarebbe da chiederci perché siamo stati allevati così, e chi è che ci ha allevato così: com’è che una generazione globalmente “consapevole”, per così dire, sceglie di non trasmettere questa consapevolezza ai suoi figli? E qui ci andrebbe già uno scaffale di libreria, a tentare una spiegazione che anche il passare degli anni non riesce a rendere del tutto chiara. E’ un caso anche questo? Ci hanno detto It’s not time to make a change, just sit down and take it slowly… Ecco, questo, forse. Perché il cambiamento abbiamo già provato a farlo noi, e non è soltanto che non ci è riuscito. E’ anche una questione di condiscendenza tra genitori e figli, come un atteggiamento falsamente protettivo per cui, alla fine, scelgo di farti crescere “tenendoti fuori” da queste cose troppo grandi per te, troppo serie o troppo adolescenti, troppo passate, troppo dei miei tempi, troppo che ci ho l’esclusiva oppure che mi bruciano perché nel frattempo me ne sono pentito. Perché io genitore ti devo far crescere al passo con i tempi, mica posso tirarti su alla maniera anni Settanta che poi non sei normale tra i ragazzi della tua età, poi tu fai il tuo dovere e io faccio il mio, tu te lo sogni di saltare scuola per andare in manifestazione e io posso scuotere la testa e dire che questi adolescenti del giorno d’oggi non hanno coscienza politica, che ah, altro che come eravamo noi.
E’ un caso, che si aspetti l’agonia della generazione dei propri padri per servire un bell’oblio confezionato a quella dei propri figli?